In an effort to get people to look
into each other’s eyes more,
and also to appease the mutes,
the government has decided
to allot each person exactly one hundred
and sixty-seven words, per day.When the phone rings, I put it to my ear
without saying hello. In the restaurant
I point at chicken noodle soup.
I am adjusting well to the new way.Late at night, I call my long distance lover,
proudly say I only used fifty-nine today.
I saved the rest for you.When she doesn’t respond,
I know she’s used up all her words,
so I slowly whisper I love you
thirty-two and a third times.
After that, we just sit on the line
and listen to each other breathe.The Quiet World by Jeffrey McDaniel
Coffee break
Niente bandiere esposte a mezz’asta
Draghi
AuAu
Napoli
Il ritorno degli ideogrammi
Da quando Unicode ha inserito gli Emoji nello standard, iOS/Whataspp/Android hanno reso diffuso e socialmente accettato l’uso degli ideogrammi nelle comunicazioni tra occidentali che, di loro, mi pare che sempre abbiano deriso questo tipo di scrittura, dato che come ci insegnano a scuola il processo evolutivo procede per astrazioni successive e quindi pittogramma->ideogramma->fonogramma.
Ora invece pare che avere un simbolo che rappresenta un concetto, piuttosto che un suono, piace molto.
Non so, io in fondo spero che questa cosa prenda piede e diventi una nuova forma di scrittura (per dire, questo redirect), ma nel mentre mi limito ad osservare che l’uso dell’asterisco * per “neutralizzare il genere” (amic*) in fondo altro non è che un ideogramma, seppur di derivazione informatica.
In tutto ciò, wordpress non vuole le emoji nei post. :'(
Ritornando sul luogo della sconfitta
Che sia il karma, che sia la sfiga, che sia il tempo circolare Maya che accelera in spirali sempre più serrate, l’uroboro o la cosmologia ciclica conforme, oppure semplicemente che viviamo su una varietà compatta o più poeticamente su una aiuola che ci fa tanto feroci, e Poincaré al riguardo è stato abbastanza chiaro: prima o poi ci tocca ritornare, e sicché non ci è dato da scegliere, ci tocca anche ritornare sui luoghi delle sconfitte. Luoghi simbolici, ma anche luoghi fisici, e nel mio caso fastidiosamente vicini – concretamente, una cinquantina di metri, una striscia di prato-siepe-strada-siepe. Chissà se Poincaré si è mai preoccupato delle conseguenze pratiche delle orbite che disegniamo noi bipedi un po’ troppo orgogliosi.
Quel che è vero è che non si ritorna mai esattamente nello stesso identico punto – e non mi riferisco ai cinquanta metri di prato-siepe-strada-siepe o agli epsilon di Henri. Ogni ritorno è una riscoperta, ritornare è in fondo impossibile, la siepe e la strada e l’altra siepe sono sempre lì però in fondo in fondo non sono più loro.
Il drago che stavamo combattendo, quello che ci ha inferto una sonora e memorabile sconfitta, è sparito, e della battaglia non restano neanche le tracce. Diamine, in primo luogo non è mai neanche esistito il drago stesso – si possono cacciare solo i draghi che non esistono. Solamente quelli che crediamo che esistano.
Eppure ricordiamo. È come visitare il set di un film che si è visto mille volte: si riconoscono tutti i dettagli, però non siamo di certo nello stesso posto che abbiamo visto sulla pellicola. Beati i poveri di immaginazione, perché essi dormiranno sereni la notte.
È una forma di religiosità la mia, quella che mi porta ad associare a questo luogo dei ricordi, e a questi ricordi un valore di cui sono incapace di disfarmi. In un altra epoca avrei probabilmente sollevato una pietra su un altra per indicare il luogo magico, o avrei inciso dei simboli sulla roccia. Nella mia epoca, le alternative erano una scritta a pennarello sullo scatolotto della linea elettrica, oppure questo – e con me non avevo pennarelli.
Plurali
Hay
ayeres
y mañanas
pero no hay
hoyes.
Mario Benedetti, Conjugaciones