Nel giro di una manciata di giorni – dal 1 settembre al 10 settembre – abbiamo attraversato il mediterraneo orientale, spostandoci lungo la linea porosa, che linea alla fine non è, della “frontiera” est dell’Unione Europea. Una frontiera porosa perché attraversata dai flussi di migranti che da anni usano questa porta per entrare in Europa, provenienti da mezza Africa e Asia.
Cipro – 1
Distando pochi chilometri dalla Turchia e dalla Siria, non è un caso che a Cipro siano passate tutte le culture che hanno navigato il mediterraneo. Anche se fa parte dell’UE dal 2004, è ancora facile trovare mappe che non l’includono nell’europa unita. Dal 1974 l’isola è di fatto divisa in due. Una Repubblica di Cipro a sud, di lingua greca, riconosciuta dalla comunità internazionale e parte dell’UE; una Repubblica Turca di Cipro Nord, di linguaturca, riconosciuta solamente dalla Turchia.
Prendiamo un aereo low-cost di una compagnia aerea rumena, da Bergamo fino a Larnaca, principale aeroporto internazionale della Repubblica di Cipro. Non ci sono più traghetti che portano a Cipro, dall’Egitto o dalla Grecia, tranne quelli che dalla Turchia raggiungono la parte nord.
Atterrati, prima di recuperare i bagagli dobbiamo attraversare il controllo passaporti. Cipro pur essendo nell’aera Schengen ne è di fatto esclusa, dato che non ha ancora implementato l’accordo. E questa non è che la prima delle strane discrepanze tra formalità giuridica e sostanza che troveremo sull’isola.
Ci fermiamo a Larnaca, che è una località turistica di mare, solo il tempo di una notte. Con un breve spostamento in autobus -non ci sono grandi distanze sull’isola- arriviamo nella capitale, Nicosia. Una delle ultime città “europee” ad essere divisa da un muro. Il confine tra Cipro nord e sud passa attraverso questa città, dalle mura medievali a forma di fiocco di neve, di costruzione veneziana. Tra la zona sud e quella nord, una piccola zona cuscinetto, controllata dai caschi blu delle Nazioni Unite. Un paio di strade che tagliano da est a ovest la città vecchia, palazzi abbandonati, barricate di bidoni, filo spinato e fucili.
Mentre ancora ci orientiamo con gli zaini in spalla, finiamo nel corso centrale dei negozi, Ledra Street, che ci porta fino ad uno dei checkpoint aperti negli ultimi anni, che permettono ai residenti nelle due repubbliche di visitare l’altro lato, ad oggi fino a periodi di tre mesi.
Curiosi, ci avviciniamo. Superiamo il posto di polizia greco-cipriota, che non ci chiede nulla (controllano semplicemente i documenti all’ingresso nella repubblica del sud), e percorriamo le poche centinaia di metri della buffer zone. Attorno a noi, palazzi abbandonati da 40 anni. La buffer zone viene chiamata anche la “zona morta”, e per un buon motivo. Arrivati nella parte turca, mostriamo i nostri passaporti, compiliamo un fogliettino di carta (semplice carta intestata) coi nostri dati che ci servirà da visto, sul quale ci viene messo un timbro e siamo liberi di circolare.
Nei due giorni successivi esploriamo tutta la zona attorno al confine. Oltre al checkpoint di Ledra Street, ce n’è un altro, meno frequentato, fuori dalle mura, chiamato Ledra Palace. Lì la buffer zone è più grande, e dentro ci si trova la sede ufficiale dell’ONU sull’isola. Proviamo a citofonare, e ci apre un casco blu, probabilmente statunitense. Con fare gentile ci dice che l’incaricato di parlare con i “civili” attualmente non è disponibile, ci fa lasciare dei contatti e ci dice che ci riconnetteranno. Purtroppo invece non riceveremo nessuna comunicazione.
Poco fuori dalla zona cuscinetto, nella parte turca, troviamo un “infopoint” dell’Unione Europea. Citofoniamo, e dopo controllo video veniamo fatti entrare in un elegante -forse troppo elegante- ufficio. Chiediamo come mai questo ufficio si trovi lì, dalla parte turca. Ci spiegano che l’Unione Europea riconosce tutta l’isola come territorio della Repubblica di Cipro (quella greca). Per cui anche la parte Nord, ufficialmente occupata, è territorio UE. L’Unione Europea finanzia dunque progetti di sviluppo anche nella parte nord. Chiediamo se finanzia anche controlli di frontiera e delle migrazioni, ma purtroppo non sanno risponderci. Ci spiegano che i turchi che sono a nord, e che erano cittadini ciprioti prima del 1974, assieme ai loro discendenti, sono considerati cittadini comunitari dall’UE.
Usciamo dall’ufficio abbastanza confusi da questi paradossi giuridici, e ci rechiamo alla sede dell’UNDP, il programma di sviluppo dell’ONU. Lì ovviamente non si occupano di migranti né di rifugiati, però possiamo parlare con loro della situazione dell’isola. Ci spiegano che il “confine” in realtà non è un confine, dato che la repubblica del nord non è un paese riconosciuto. Un confine prevede evidentemente la presenza di due stati in mutuo riconoscimento. È invece una green line, una linea verde disegnata e controllata dalle truppe ONU. La differenza pare sfuggirci ma evidentemente è rilevante, del resto anche il nord è territorio sud-cipriota, secondo l’UE, per cui non c’è nessun confine dell’Unione Europea sull’isola.
Nel frattempo abbiamo varcato la frontiera (green line, pardon) già una mezza dozzina di volte. Ogni volta ci viene messo un timbro sul nostro visto, ed ogni volta che entriamo ci viene rinnovato per “90 giorni”. La cosa ci inizia a sembrare ridicola. Lungo la linea verde notiamo punti abbandonati, non presidiati da nessun soldato – né greco né turco né ONU. Ci chiediamo quanto sia difficile – o quanto sia pericoloso – tentare di varcare la frontiera clandestinamente. In ogni caso, i controlli ai checkpoint con sono per nulla severi. A volte basta solo mostrare di avere un passaporto italiano, senza nemmeno doverlo aprire, per entrare in zona greca.
Le differenze che riscontriamo, tra la parte nord e quella sud, ci mostrano la distanza, minima, che esiste tra la cultura greca e quella turca. Nonostante le ostilità, nonostante il muro, nonostante le bandiere che si fronteggiano ovunque lungo la green line (quella bianca cipriota e quella bianco-blu greca a sud, quella bianco-rossa nord-cipriota e quella rossa turca a nord). Al di là di un diverso livello economico, quel che cambia in pratica sono solamente i nomi dei piatti nei ristoranti, la religione di maggioranza, ed il colore delle bandiere. Perfino gli euro vengono accettati senza problemi al nord, anche se non è la sua moneta.
Quel che invece è molto diverso, è la situazione giuridica. Per il fatto di essere nell’Unione, Cipro sud ha una politica verso i rifugiati ed i richiedenti asilo nettamente più aperta rispetto alla parte turca. Nonostante ciò, confrontata con il resto dell’Europa, la situazione è disarmante. Meno dell’1% dei richiedenti ottiene effettivamente lo status di rifugiato, e anche allora per loro è difficile ottenere sostegno sociale ed economico.
Troviamo presenti a Nicosia solamente due associazioni che si occupano dei migranti. Ovviamente, una nella parte turca (Turkish Cypriot Human Rights Foundation), ed una nella parte greca (KISA – Action for Equality, Support, Antiracism). Proviamo a bussare alla porta di entrambe. A sud, sfortunatamente sono troppo impegnati per riceverci. Hanno appena riaperto dopo due settimane di “ferie”, e hanno molto lavoro arretrato. Dicono che ci faranno ricontattare appena possibile, ma evidentemente non hanno il tempo, dato che non lo faranno.
Abbiamo più fortuna a nord. Riusciamo a parlare con P., un avvocato che lavora con l’associazione turca. Fornisce assistenza legale, anche gratuita se pensa che le persone che difende possano chiedere lo status di rifugiato. All’inizio è meravigliato di vederci lì, all’estrema periferia del mediterraneo. Non devono essere in molti a venire da fuori a chiedere informazioni sui migranti. Poi però ammette che Cipro è un punto cruciale nei flussi migratori dell’area. Ci racconta che circa 4.000 persone l’anno provano a passare clandestinamente il confine a sud, per chiedere lo status di rifugiato. Arrivano dalla Turchia, provengono dall’Africa e dall’Asia. Il passaggio tra Turchia e Cipro Nord non è difficile da fare anche senza documenti. Cipro Nord e la Turchia non hanno programmi specifici per rifugiati, tendono ad espellere, deportare e rimpatriare i clandestini che trovano sul loro territorio. Anche a Sud lo fanno, ma quell’1% di speranza di ottenere lo status di rifugiato è abbastanza per tentare il viaggio.
Prima di lasciare Nicosia, proviamo a passare davanti alla sede di Amnesty International, che avevamo incrociato per caso la sera prima. La porta è ancora chiusa, non ci sono altri cartelli oltre al logo di Amnesty. Chiediamo ad un negozio vicino, e ci dicono che la sede è chiusa da un po’ di tempo. Si sono trasferiti, chiediamo. No, rispondono, hanno chiuso e basta. Il sito di Amnesty conferma: non c’è una presenza stabile dell’ONG sull’isola. Non più, almeno.