Nel giro di una manciata di giorni – dal 1 settembre al 10 settembre – abbiamo attraversato il mediterraneo orientale, spostandoci lungo la linea porosa, che linea alla fine non è, della “frontiera” est dell’Unione Europea. Una frontiera porosa perché attraversata dai flussi di migranti che da anni usano questa porta per entrare in Europa, provenienti da mezza Africa e Asia.
Cipro – 2
Torniamo a Larnaca, con il suo lungomare fatto di grandi alberghi e disco pub. Vicino alla fermata del bus, troviamo la stazione di Polizia. Ce ne avevano parlato a Nicosia, perché è uno dei luoghi dove vengono detenuti -in forma amministrativa- i migranti senza permesso di soggiorno, in attesa di un rimpatrio o di un improbabile asilo politico. In effetti una degli edifici del complesso è circondato dal filo spinato. Ci immaginiamo che sia quello il luogo di cui ci hanno parlato.
A Cipro non ci sono -non ancora, per lo meno- centri di detenzione specifici per i migranti. Non ci sono quelli che in Italia chiamavano CPT ed adesso chiamano CIE. I migranti in attesa di verifiche vengono detenuti nelle normali carceri. A Nicosia, dentro la prigione centrale, pochi chilometri fuori dal centro storico, c’è il famigerato Block Ten, il braccio riservato ai migranti. Le storie su questa sezione, che avevamo trovato cercando in internet prima di partire, sono i soliti, agghiaccianti racconti di ciò che accade in quei luoghi grigi della legislazione, racconti di persone senza un chiaro status giuridico né diritti ben definiti. A Cipro la detenzione amministrativa che viene applicata ai migranti clandestini non ha limiti per legge. Può durare 3 mesi come può durare anni. E la cosa peggiore, racconta chi ci è passato, non è la durata della “pena”, ma la sua arbitrarietà, la sua incertezza, il non sapere quando finirà. Block Ten non è diverso dalle tante altre paranoie giuridiche che la fortezza europa ha generato.
La prigione centrale di Nicosia l’abbiamo solamente scrutata dall’esterno. Non abbiamo avuto il coraggio di cercare di entrare e fare domande, del resto ci siamo arrivati fuori dall’orario di visita. La stazione di Polizia di Larnaca, anche se non l’abbiamo chiesto, probabilmente neanche ce l’ha, un orario di visita.
A Larnaca affittiamo due biciclette per pochi euro, e ci lasciamo alle spalle la zona turistica, seguendo la costa verso nord-est. Superiamo degli impianti di raffinazione, la unica zona industriale che ci capiterà di vedere sull’isola. La nostra meta è Pyla, un piccolo villaggio che si trova dentro la buffer zone dell’ONU. Pyla è l’unico caso, almeno così ci hanno detto, di un villaggio abitato dentro la linea verde. E, data la sua collocazione, è l’unico villaggio dove convivono, sorvegliati dai caschi blu, turco-ciprioti e greco-ciprioti.
Arriviamo a Pyla senza nemmeno accorgerci di aver passato una “linea”. Entriamo nella buffer zone senza accorgecene . Forse nella distrazione non abbiamo visto un cartello, ma dato che di strade che portano a Pyla ce n’è una sola, di sicuro non abbiamo evitato controlli o checkpoint. Pyla è un tranquillo villaggio di collina. Ha una chiesa greco-ortodossa, ma anche una piccola moschea col suo minareto. La piazza centrale, silenziosa è assolata, è un rettangolo su cui si affacciano: lo spaccio locale, la sede di una istituzione municipale, il bar sui cui tavoli anziani giocano a tavli (l’immancabile gioco da tavola), e la sede dell’ONU, con una piccola torretta. Nella torretta c’è un soldato, di guardia – l’unico segnale, per quanto macroscopico, che questo silenzioso e tranquillo paesino di provincia, si trova lungo quella che una volta era una zona di guerra.
Mentre il muezzin chiama alla preghiera, prendiamo un caffè e scopriamo di fare molta fatica a comunicare, in inglese, con la popolazione locale. L’unica persona con la quale riusciamo a scambiare due parole -in realtà ben più di due, dato che veniamo sommersi dalla sua parlantina inarrestabile- è un inglese che gestisce un negozio di vestiti di seconda mano a scopo di beneficenza. Ci dà indicazioni sui percorsi da seguire, e ci racconta che l’ONU sta per aprire la prima scuola “mista” bilingue greco-turca dell’isola, proprio qui a Pyla.
La presenza di un inglese non è per nulla sorprendente. Pochi chilometri sopra Pyla, inizia una delle due Sovrein Base Areas (SBA), le basi militari che la Gran Bretagna gestisce sull’isola da quando quest’ultima ha ottenuto l’indipendenza, nel 1960. Queste due zone, che coprono vari chilometri quadrati, sono sotto la giurisdizione inglese, servono come base strategica per le operazioni in medio oriente. E contribuiscono a frammentare un già diviso territorio, dato che sull’isola, a questo punto, possiamo contare 4 giurisdizioni differenti (quella greco-cipriota, quella turco-cipriota, quella dell’ONU della buffer zone e quella inglese delle SBA).
Risalendo la collina sopra Pyla, un cartello ci avvisa che stiamo abbandonando la UN buffer zone, e pochi metri un’altro cartello ci avvisa che stiamo entrando nella SBA. Per il resto, il panorama è un altipiano brullo. Alle nostre spalle, in lontananza si può ancora vedere il mare e la costa, mentre davanti a noi, all’orizzonte, due minareti bianchi. Immaginiamo, e scopriremo di avere ragione, che appartengono alla moschea del primo villaggio oltre il confine con la parte turca, Pergamos.
Tra Pyla ed il checkpoint di Pergamos, non c’è molto. Del resto lo spazio che separa il mare dalla green-line è una manciata di chilometri. La SBA si estende invece da ovest ad est, e possiamo vedere in lontananza strutture militari. In una di queste, sappiamo che un gruppo di curdi -rifugiati di guerra- è stato detenuto, dalla marina britannica, per ben 10 anni. La vediamo in lontananza, ma decidiamo di non avvicinarci. Raggiungiamo invece il checkpoint, e con le stesse formalità a cui ci siamo abituati a Nicosia, attraversiamo il confine. La parte turca non ha molto da offrire: due moschee, un bar, un posto dove mangiare, un punto per taxi che -reclama- fa servizio anche nella parte greca.
In meno di mezz’ora decidiamo di tornare indietro (la prossima grande città è abbastanza lontana), riattraversiamo il checkpoint, la SBA, la buffer zone, e torniamo a Larnaca, dove ci concediamo un bagno.
La spiaggia è affollata da turisti provenienti dall’est europa, Russia e Ucraina. Una comitiva di ragazzi spagnoli. Sul lungomare, la sera, la gente passeggia, mangia il gelato, beve sui porticcioli. Dai locali esce musica a tutto volume. I ragazzi che abbiamo incrociato per strada, a Pergamos, possono arrivare qui in meno di un’ora di viaggio in auto. Chissà se lo fanno, se per loro Larnaca è la grande città dove uscire la sera. O se la green line è ancora un confine per molti.