Nel giro di una manciata di giorni – dal 1 settembre al 10 settembre – abbiamo attraversato il mediterraneo orientale, spostandoci lungo la linea porosa, che linea alla fine non è, della “frontiera” est dell’Unione Europea. Una frontiera porosa perché attraversata dai flussi di migranti che da anni usano questa porta per entrare in Europa, provenienti da mezza Africa e Asia.
Atene
Lasciamo Cipro con un aereo, che in un paio di ore ci porta ad Atene. Appena scesi a Syntagma, una delle piazze principali della capitale greca, avvertiamo la distanza che ci separa dal mondo relativamente tranquillo di Cipro. Atene è una metropoli, enorme, che con i suoi 4 milioni di abitanti contiene più di un terzo della popolazione di tutta la Grecia. Ci incamminiamo verso il nostro ostello, e pur essendo tarda mattinata, possiamo notare la miseria, la povertà e la disperazione che riempiono le strade.
Contrariamente ad altre capitali europee, il centro cittadino di Atene è rimasto la zona povera della città, mentre i quartieri “bene” si trovano fuori, nelle periferie. Il centro è ancora la downtown, il luogo dei traffici, dell’eroina che invade le strade, i senza tetto che dormono sotto i portici, nei portoni, nei giardini.
Le guide turistiche sconsigliano, senza mezzi termini, di avvicinarsi a Omonia Square, la piazza nei cui dintorni si trova il nostro alloggio, dopo le 9 di sera.
La nostra piccola inchiesta si svolge quasi tutta ad Exarchia, il leggendario e famigerato quartiere delle rivolte del 2008 (e non solo del 2008). Alle spalle del vecchio politecnico, quartiere un po’ universitario ed un po’ migrante, Exarchia ad un primo sguardo tiene fede alla sua fama. I muri vomitano volantini e manifesti, murales e disegni. Non troviamo bancomat, né sportelli di banche. La polizia sorveglia il confine del quartiere, in gruppi numerosi.
Oltre ad essere il quartiere “rivoltoso”, ad Exarchia si concentrano anche le associazioni che si occupano dei migranti. Nel giro di pochi metri, attorno alla piazzetta centrale del quartiere, si trovano tutti gli indirizzi che vogliamo visitare.
Iniziamo da Nosostros, un centro sociale situato in una palazzina stretta ed alta. Quando andiamo a visitarlo, è praticamente vuoto dato che proprio in quei giorni stanno ridipingendo tutti gli interni. Il centro deve ancora riprendere appieno le sue attività dopo la pausa estiva. Sul tetto c’è una terrazza ed un piccolo bar, dove possiamo fare due chiacchiere con A., che è di turno al bar.
A. ci racconta che tra le varie attività che si svolgono nel centro, c’è anche una scuola di greco per migranti, gratuita, ovviamente senza distinzione tra chi i documenti ce li ha e chi no. Ci dice che nell’assemblea di gestione, il lunedì sera, partecipano anche alcuni migranti.
Lasciamo Nosotros per dirigerci verso uno degli steki, che in greco vuol dire “ritrovo” e si usa per indicare varie sedi di associazioni dove i migranti si ritrovano, per organizzarsi e creare reti di solidarietà e appoggio. Il primo che visitiamo è Gefyra, dove incontriamo albanesi, turchi e siriani. Ci fermiamo a fare domande, con l’aiuto di J., una ragazza albanese che si trova ad Atene da più di 10 anni, e che ci fa da traduttrice. Le storie che ci raccontano i turchi ed i siriani descrivono il difficile -ma più sicuro di altri- corridoio di ingresso, che dalla Turchia (e prima ancora dai paesi del Medio Oriente, in primis l’Iran), porta a passare il confine con piccole barche, a volte semplici gommoni, per arrivare sulle isole greche, spesso distanti pochi chilometri dalle coste turche. I punti di arrivo, che poi sono anche i luoghi dove si trovano i centri di detenzione per i migranti “in entrata”, portano i nomi di Samos, Lesbo, Mitilini. Ci racconta un ragazzo turco, che in questi giorni c’è polizia italiana a guardia delle coste e nei centri di detenzione sulle isole. Polizia di Stato o Carabinieri? Non sa dirci la differenza, comunque militari italiani. Sono “prestiti di personale” che rientrano nel progetto europeo di controllo delle frontiere chiamato Frontex. Verranno sostituiti dopo 6 mesi da militari di qualche altro paese europeo, e così via, di sei mesi in sei mesi.
A Gefyra i migranti vengono per incontrarsi e cercare aiuto. Un giorno alla settimana un gruppo di avvocati fornisce assistenza legale. Si tengono corsi di lingua greca. Chiediamo come si relazionano con gli altri steki, e con gli altri gruppi politici del quartiere. Ci confessano che anche se le collaborazioni ci sono e sono proficue, ci sono divergenze di visioni politiche, sul metodo e sul merito. Lo stesso dicasi per i gruppi politici del quartiere. Abbastanza prevedibilmente, non risparmiano critiche all’attuale governo, del partito socialista, e non vedono di buon occhio neanche i partiti della sinistra radicale. Li accusano di non voler fare veramente nulla di concreto per cambiare la condizione nella quale vive probabilmente più di un milione di persone, ad Atene ed in tutta la Grecia.
Ci spostiamo infine allo Steki Metanaston, al cui interno troviamo un vero e proprio bar. Dietro al bar sta lavorando un signore, che ci dice provenire dall’Iran. Rifugiato. Dopo un po’ di diffidenza, capisce che non abbiamo cattive intenzioni, e accetta di rispondere alle nostre domande sul centro. Poi decide che è meglio se parliamo con chi si occupa di più della comunicazione e dell’organizzazione, e ci fa salire in un ufficio a lato, dove incontriamo C., afgano.
C. fa parte del Network of Social Support to Immigrants and Refugees, che ha sede -assieme ad altri gruppi che si occupano di migranti- in questo centro. Questa rete di persone si occupa dei problemi sociali ed economici dei migranti e dei rifugiati, mentre altri si occupano dei problemi legali, giuridici. Forniscono assistenza legale, e -ovviamente- tengono corsi di greco e di informatica.
C. ha il tono dell’attivista che è abituato a descrivere e presentare la situazione di Atene, della Grecia, dei migranti e del suo network. Si nota che ha già fatto questa conversazione con molte altre persone, prima di noi. Al tempo stesso è gentile, paziente, e anche se gli siamo piombati nello studio senza preavviso, spende con noi più di un’ora a parlare. Il suo discorso è lucido, ricorda le cifre, e le statistiche. Conosce le leggi, le nuove e le vecchie. Il suo discorso non è puramente testimoniale, ha una chiara visione politica e sociale, e ce la spiega con abilità.
Inizia a raccontarci del suo network, del lavoro che svolgono allo steki, del bar che serve a pagare l’affitto e ai corsi che si tengono. Questo steki e le associazioni che lo vivono fanno parte di Noborders, una rete internazionale di associazioni ed attivisti. Organizzano annualmente un campo in grecia, fino ad ora nelle varie isole vicine al confine Turco. Quest’anno a fine settembre si terrà a Bruxelles il primo campo europeo.
C. dice che uno degli ostacoli più grandi per i migranti che chiedono diritto di asilo, è la cosiddetta Convenzione di Dublino. Uno dei tanti documenti che costituiscono l’Unione Europea, questa convenzione prevede che chi faccia richiesta di asilo in un paese del’UE, non possa spostarsi negli altri paesi. In pratica chi fa richiesta in Grecia, deve rimanere in Grecia. Il documento di rifugiato non basta per muoversi dentro l’area Schengen.
C. ci dice che l’80% dei richiedenti asilo in Unione Europea, fa domanda in Grecia, dato che è il primo paese dell’unione nel quale arrivano. E che è anche il secondo paese, dopo Cipro, con la percentuale più bassa di richieste accettate. In più, non prevede nessun programma si sostegno sociale ed economico per i rifugiati. In pratica, fare domanda di asilo in Grecia, può voler dire rischiare di rimanere intrappolati, in uno dei paesi più poveri d’Europa, senza sostegni sociali, in una situazione di crisi galoppante, dove trovare un posto di lavoro è praticamente impossibile.
L’Unione Europea sta delegando alla Grecia la gestione di tutte queste persone, e la Grecia non sta facendo molto. Quasi nulla. C. dice che i rifugiati dovrebbero essere liberi di distribuirsi in tutta l’UE. Che dovrebbero poter andare in Germania, in Inghilterra, in Italia.
Poi passa a parlare di Atene. Secondo C., quella di fare degradare la zona del centro, è una precisa scelta politica, per far scendere il prezzo degli immobili, per un giorno ripulire tutto (e tutti) e costruire un centro finanziario in linea con gli standard europei. Anche C. è molto critico verso il governo socialista. Il quale comunque sta modificando la legislazione in tema di migrazioni. C. non approva le nuove leggi che si stanno discutendo o che sono state approvate da poco, come quella che dovrebbe risolvere il problema dei figli dei clandestini, nati in Grecia.
Bambini che arrivati alla maggiore età rischiano di essere rimpatriati in un paese, quello dei genitori, che non hanno mai visto, e del quale magari non parlano neanche la lingua. La nuova legge non è buona, permette a meno del 5% della “seconda generazione” di diventare cittadini. Però è un punto di partenza, ammette C., uscire dalla situazione di incertezza precedente, quando non c’era a riguardo nessuna legislazione. Anche quel 95% di rifiuti deve essere motivato, si può fare ricorso, o comunque preparare meglio le richieste successive.
Parliamo così a lungo, ed il discorso ci prende moltissimo, che perdiamo di vista l’orologio. Ad un certo punto siamo costretti a scusarci, che dobbiamo andare via. Ringraziamo C., e torniamo nella piazza di Exarchia. Si è fatta sera, e la piazza si è riempita di vita. Dato che lo Stato ha praticamente abbandonato a se stesso questo quartiere, i residenti stanno cercando di “riqualificare” la loro piazza. Ci sono biliardini ed un tavolo da ping pong. Bambini che giocano, adolescenti che passeggiano. Bar e tavolini pieni di gente che mangia, beve, prende il fresco della sera. Le due edicole sono aperte, ed espongono una serie di pubblicazioni -politiche, di quartiere- che non abbiamo visto da nessun’altra parte ad Atene. C’è perfino un telo ad uso maxischermo, sul quale proiettano un film. Confrontato con lo squallore delle vie vicine ad Omonia Square, Exarchia di notte è accogliente e vibrante. Sfidando l’immaginario degli scontri con la polizia, le molotov e le banche distrutte, Exarchia è anche un luogo dove immaginare la propria vita.