Dalla Relazione al Parlamento 2010 dei Servizi italiani.
Il fronte antagonista, variegato arcipelago in cui confluiscono componenti di diversa matrice ideologica (no-global, marxisti-leninisti, anarco-insurrezionalisti), si va sempre più posizionando al fianco di comitati civici e gruppi “spontanei” di cittadini nella cornice di contenziosi di dimensione “locale”, specie in tema di ambiente e difesa del territorio, come dimostrano gli interventi contro:
- gli insediamenti ad “alto impatto ambientale” (centrali elettriche, rigassificatori);
- la realizzazione di “grandi opere” infrastrutturali (su tutte, la linea ad Alta Velocità in Val Susa e il Ponte sullo Stretto);
- l’apertura di nuove discariche di rifiuti nel napoletano;
- i progetti di rilancio dell’energia nucleare.
[..]Anche l’“emergenza rifiuti” nel napoletano è ritenuta dall’antagonismo una propizia occasione di lotta. Tuttavia le frange estremiste partenopee, pur presenti alle manifestazioni violente dell’autunno 2010, avrebbero deciso di assumere una posizione defilata, per non apparire come gli “ispiratori” degli incidenti e depotenziare, così, il significato di “rivolta sociale” attribuita alla protesta dei “comitati popolari antidiscarica”, espressione della cittadinanza locale.
La campagna antagonista “contro il ritorno al nucleare”, attualmente sviluppata sul piano informativo/propagandistico (per sensibilizzare l’opinione pubblica sui paventati rischi per la salute e il territorio) ed a livello locale (specie in Piemonte, Triveneto, Puglia e Lazio, ove si ritiene saranno installate le centrali) è destinata a intensificarsi in vista della definitiva individuazione dei siti per la produzione di energia atomica. I promotori mirano, infatti, a conferire alla protesta una dimensione nazionale con la creazione di “strutture di coordinamento” per diffondere il dissenso e formare un movimento di lotta simile a quello che animò le contestazioni antinucleari degli anni ‘70 – ‘80.
Elemento di novità nello scenario della conflittualità sociale è la crescita organizzativa delle comunità immigrate, sempre più consapevoli di disporre di una non eludibile “contrattualità” economica e di un’autonoma capacità di mobilitazione.
Le componenti antagoniste, che ritengono l’extracomunitario un potenziale vettore “anti-sistema”, guardano con interesse alle rivendicazioni dei migranti nell’ambito del generale impegno contro le “politiche di sicurezza” e i Centri di Identificazione ed Espulsione per Immigrati – CIE, indicati, nella pubblicistica d’area, come “luoghi simbolo” della re- pressione, e mirano in prospettiva a una “convergenza mobilitativa” tra lavoratori italiani e stranieri.
Istruttiva, al riguardo, l’attenzione riservata dai circuiti oltranzisti allo “sciopero dei migranti” del 1° marzo, che ha registrato una significativa adesione su tutto il territorio nazionale, con manifestazioni cui hanno partecipato anche formazioni dell’antagonismo.
Lo sciopero è scaturito dalla proposta, lanciata nel novembre 2009 su “Facebook”, di una “Giornata senza immigrati – 24 ore senza di noi”, sulla falsariga della “Journée sans immigrés” indetta nello stesso periodo in Francia, che ha raccolto in breve tempo oltre trentacinquemila adesioni.
Attraverso la Rete – che si conferma importante veicolo per la nascita e lo sviluppo di movimenti di protesta “dal basso” – si è animata la protesta dei migranti che, d’intesa con elementi dell’antagonismo nazionale, hanno individuato nella generalizzata concessione del permesso di soggiorno agli stranieri in Italia la base di un percorso di lotta “comune” contro le politiche governative in materia di immigrazione.
Ne rappresentano i primi segnali gli episodi del novembre scorso quando, a margine di manifestazioni contro le attuali procedure di regolarizzazione, alcuni immigrati si sono arrampicati su una gru di un cantiere a Brescia e sulla torre di uno stabilimento a Milano, rimanendovi per diversi giorni. Le proteste, mutuate da analoghe clamorose iniziative attuate da lavoratori italiani di aziende in crisi, potrebbero a loro volta produrre ulteriori effetti emulativi.
Più in generale nuove criticità sul piano dell’ordine pubblico potrebbero scaturire proprio dalle rivendicazioni occupazionali e dalle contestazioni per il “diritto allo studio”. Infatti:
- nel comparto istruzione, le proteste degli studenti per la “privatizzazione della cultura” si saldano con le rivendicazioni dei precari e del personale del settore, attribuendo spessore a una mobilitazione che ha raggiunto momenti di particolare radicalità con le manifestazioni di novembre e dicembre. Nell’innesco degli incidenti, occorsi in particolare a Roma e Palermo nei giorni 14 e 22 dicembre, decisivo si è rivelato il ruolo delle formazioni antagoniste, sempre più interessate alla capacità dimostrata dal movimento studentesco di “portare in piazza” un numero considerevole di giovani. Il fine dell’antagonismo è quello di veicolare il disagio degli studenti verso forme di più accesa contrapposizione o di utilizzarne la capacità di mobilitazione per supportare altri “fronti di lotta”;
- nel mondo del lavoro, pur in presenza di segnali di ripresa economica, persistono pesanti situazioni di crisi, specie in alcuni settori industriali, che innescano tra le maestranze disagi e tensioni solo in parte attutiti dall’ampio ricorso agli ammortizzatori sociali.
È pur vero, comunque, che a fronte dei tentativi dell’estremismo politico di inserirsi nei contenziosi aziendali per esasperare il confronto, si è finora rilevata una sostanziale “impermeabilità” dei lavoratori alle strumentalizzazioni, ciò che ha consentito la spontanea evoluzione della protesta. Nuove occasioni per le formazioni antagoniste, specie quelle più attente al “fronte lavoro”, per elevare i toni del contenzioso sociale potrebbero essere, tuttavia, offerte dagli sviluppi del dibattito sindacale sui contenuti dell’accordo di Mirafiori di dicembre.