Returning is always a little sad. All the things that I usually remember about a place have changed in subtle or striking ways. Certain people might be gone, and things have inevitably changed in a way that is inconsistent with nostalgia. For a long time I avoided returning all together, now I just make a conscious effort to treat returning as a new experience rather than a continuation of an old one. When combined with the curse of traveling — where you end up knowing and loving people in many different places and are always missing someone or something somewhere — the whole thing can be hard. So with all of this in my heart, I returned to San Francisco with the intentional idea that I was stepping into something new.
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d’ogni dubbio il più bello
Una delle lezioni di matematica più belle a cui ho mai assistito verteva, tra le altre cose, sull’occupazione delle fabbriche nel Genovese per impedirne la distruzione da parte dei nazisti che si ritiravano nel ’45. Chi veniva catturato era in seguito torturato, affinché rivelasse i nomi, gli indirizzi, ed i piani dei partigiani clandestini.
Pare sia un fatto, con in quale ci tocca fare i conti, che i primi a parlare sotto tortura siano i cosiddetti intellettuali (dico che ci toccava fare i conti, perché era pur sempre una lezione universitaria, per cui gira e rigira nella categoria ci cadevamo un po’ tutti, chi più e chi meno).
Il kiwi
se il kiwi parlasse
direbbe
acido sarai te.
Conversazione con un pomodoro di Murcia
Oh pomodoro, pomodoro murciano, figlio del trattore e del concimante, nato in serra, o forse -chissà-, in un campo bordato dai papaveri rossi.
Sei nato primizia, raccolto ancor verde, oppure tardivo, col ventre molliccio, o forse in stagione, assieme ai fratelli, programmati dall'uomo per maturare d'accordo, ed esser raccolti tutti d'un botto?
L'hai visto il mare, pomodoro murciano, prima che un camion ti portasse lontano? L'hai visto l'azzurro, salato e profondo, lo splendido blu dove tutto si perde?
O persino la gioia di sentire la brezza, oh pomodoro, ti hanno negato?
Adesso in Castiglia, esposto al mercato, mi guardi stranito e mi domandi "mi scusi, sa mica indicarmi la via per i campi?"
Io ti sorrido, amico pomodoro murciano, e un po' ti invidio, perché forse stamani tu l'hai visto il mare prima di finire in questo infame mercato.
Dalla politica epica alla politica lirica
di Álvaro Rodríguez Marín, pubblicato su Diagonal del 10 novembre 2011 (e quindi prima delle elezioni).
Tra la realtà ed il desiderio, stiamo costruendo le nostre vite. Non c’è via di uscita. L’angolo definito da queste due linee sarà la misura della nostra potenza – o della nostra frustrazione. In questo senso il 15M è pura vita.
Il 15 maggio si apre uno spazio imprevedibile, impossibile nel blocco perfettamente immobile della nostra realtà sociale, del nostro immaginario del possibile e del dicibile. Nelle piazze l’abbiamo percepito come uno spazio pieno di potenza: la mappa del possibile si era dispiegata.
Una apertura nel linguaggio sociale e della identificazione. Non siamo identificabili e non ci identifichiamo. Non siamo comunisti, anarchici, giovani, disoccupati, rossi o sovversivi. Siamo individualità unite in un rifiuto comune e in una costruzione comune. Siamo un no ed un si. Siamo il comune di fatto: condividendo, collaborando, convivendo nella piazza. Il linguaggio del potere esige identificazione, necessita sapere, dire cosa siamo, chi siamo, di che colore è la nostra bandiera. C’è bisogno di un nome affinché la logica implacabile della definizione -ovvero sia, del limite- ci fagociti immediatamente. Pero è soprattutto la logica del telegiornale che ci disinnesca e ci neutralizza con una sola parola: sovversivi, violenti, hippies, black bloc, squatters, punkabbestia… Per nominarci collettivamente abbiamo evitato parole connotate, stratificazioni di significati, cariche di simboli che le incanalano lungo strade strette – o del tutto chiuse: proletari, operai, classe… Abbiamo invece accettato parole prive di carica: indignazione, rispetto, 99%… Parole che scivolano via come il sapone.
Una breccia nel virtuale. Una conquista della terra, dall’immaginario al fisico, dalla rete alla strada, dalle parole ai corpi. Una scarica elettrica nel corpo sociale zombie, narcotizzato, ipnotizzato dagli schermi multipli e dall’isolamento sociale.
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letture di accompagnamento
Lavoroculturale ha pubblicato roba di ottima qualità attorno al movimento del 15M a Madrid e a Barcellona. Alcune cose sono inedite, altre tradotte. Invece di elencarvele, vi rimando direttamente al loro blog.
mappa concettuale di #acampadasol
tentativi di riassorbimento
http://www.youtube.com/watch?v=GfVX33NlCl0
questo spot pubblicitario viene trasmesso in questo periodo su vari canali televisivi spagnoli. È una offerta di una tariffa per cellulari, niente di eccezionale. Quel che mi sembra estremamente affascinante è la situazione rappresentata.
Sia chiaro, non c’è nessun riferimento al 15M né a qualsiasi altro movimento sociale. Però vediamo qualcosa che chiaramente è un assemblea, con un moderatore che da la parola, ed in cui intervengono persone di diverse generazioni (dalla giovane alla anziana), di diversa estrazione sociale (immaginiamo che il ragazzo con la giacca e la cravatta, che guarda caso parla di andare a lavoro in ufficio, abbia una situazione economica diversa dal ragazzo vestito più sportivamente che lo interrompe).
Insomma, quel che viene rappresentato è un’asamblea, in cui si discute come “sistemare” o “migliorare” qualcosa che non va, e che difatti si conclude con questa uscita che vorrebbero venderci come utopistica, “dato che chiedere non costa nulla, allora chiediamo SMS gratis sempre”. Rimosso il conflitto, Movistar arriva e accetta le rivendicazioni dell’assemblea, offrendoci la tariffa con gli SMS gratis.
Non so, a me sembra affascinante, tanto è esplicito il riferimento alla situazione attuale della mobilitazione sociale in Spagna. Che ha poco più di 6 mesi di vita, non è che stiamo parlando di chissà quale tradizione…
Il marketing cerca di reinglobare e normalizzare il conflitto, o è la protesta che è divenuta egemone nell’immaginario?
Il conflitto non è una merce.
La merce invece no, la merce è soprattutto conflitto.
guerrillamarketing
Sulla crisi
Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i Paesi diventano casi critici. Crisi, parola greca che in tutte le lingue moderne, ha voluto dire “scelta” o “punto di svolta”, ora sta a significare: “Guidatore, dacci dentro!”. Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale. [..] Così intesa, la crisi torna sempre a vantaggio degli amministratori e dei commissari […] La crisi intesa come necessità di accelerare non solo mette più potenza a disposizione del conducente, e fa stringere ancora di più la cintura di sicurezza dei passeggeri.
“crisi” non ha necessariamente questo significato. Non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l’escalation del controllo. Può invece indicare l’attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e delle possibilità di vivere in maniera diversa.
Ivan Illich, Disoccupazione creativa, Boroli. Estratto da Carta.org
I Found A Bike Today
http://www.youtube.com/watch?v=u2S6VwfHwpI